In Our Bedroom After The War.

lu.
3 min readMar 21, 2021

Che forse più che War, si dovrebbe scrivere Pandemic.

I miei dotti lacrimali sono tornati ad essere sempre più aperti, sempre più vivi, sempre più attivi. Me ne sono accorta dopo la prima seduta di meditazione che mi sono autoimposta: ho pianto forsennatamente, con dei singhiozzi rumorosi, “è normale, stai solo scaricando l’adrenalina”, tu chiamala se vuoi adrenalina ma io penso che tutte ‘ste lacrime in faccia non le sentivo da diversi anni.

E le lacrime mi rimettono addosso tutti i ricordi che stanno sbiadendo, io che ormai li scrivo per non dimenticarli, ora che ho anche perso l’unico hard disk in cui avevo salvati dei volti, dei suoni, quella che chiamo perdita tangibile dei ricordi, il modo in cui mia madre mi svegliava al mattino quando vivevo ancora con i miei, dicendo il mio nome pianissimo e toccandomi i capelli, il suono del cucchiaino di papà quando al mattino mescolava acqua e limone in piedi davanti il lavandino in cucina, sempre lo stesso ritmo, sempre lo stesso tempo, il profumo di mia sorella che lo riconoscerei tra tutti i profumi della Terra, le auto che sfrecciano, tu in video che mi spieghi il teorema di Fermat con un Ritter Sport fondente, e io che quel video l’ho perduto, star seduti sul prato, a Capodimonte, come mi scattavi le foto e quella giovane mamma che diceva alla sua bambina intimorita dai colori “questa è l’erba”, G. che balla da sola su un palchetto a L’Oasi di Vigarano Pieve, i tuoi occhi verdi che ho sempre associato alle biglie di vetro, L. che da piccino prende uno di quei pennelli per stendere l’ombretto e lo scambia per un cotton fioc provando a infilarlo nel suo orecchio, All I want for Christmas is you in loop mentre con E. preparavamo l’albero di Natale, le mie amiche che non vedo da agosto ma che non abbraccio ormai da più di un anno, il sapore delle sigarette, tutti i saluti dai treni e dai binari, in qualunque direzione, il finestrino della tua Polo che si è bloccato in pieno agosto, nel 2012, la nostra prima foto insieme, il giorno in cui siamo andati a tatuarci la stessa cosa anche se non era previsto, il balcone della casa a Roma, il suono del campanello della mia vecchia bici, perché non ho comprato ancora una bici, il mio primo (e unico) concerto degli Afterhours, la tua stanza arancioblu in cui avevamo fatto dei disegni, la prima volta che ti ho detto “ciao” nella stazione di Firenze, il modo in cui tossisci, il profumo del tuo rossetto, prendere le mani di mia madre mentre le ero in braccio e giocare con i suoi pollici, gli uccellini che aveva nonna in casa, il profumo della Torrefazione Penazzi, i colori delle tue camicie, tutti i momenti in cui ho comprato i dadi, riguardare Tina (la hypoestes) letteralmente baciata dal sole e aspettare di non essere più In Our Bedroom After The War.

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